Convocati sin dalle prime ore del 15 novembre 1938 dal presidente, comm. Bartolomeo Boglione, con telegramma che non lasciava dubbi comunicando “deliberato scioglimento”, alla consueta riunione si presentarono Caviglia, D’Agliano, Giriodi, Giustiniani, Lo Balbo, Moisio, A. e I. Perdomo, Raggi, Achille Raimondo, Romanelli, Rossi, Viglino e Cesare Vinay. Scusarono l’assenza Albonico, Bertoni, Burgo, Cavallo, Hess, Imberti, Lisdero, Locatelli, Michel, Molineris, Moschetti, Olivero, Augusto Raimondo, Toselli e Viglietti.

“All’oscuro delle condizioni giustificabili tale importante deliberazione”, i pochi presenti furono informati dal presidente, giunto nottetempo da Roma. Levatosi in piedi, questi sintetizzò la decisione del consiglio nazionale e, secondo il verbale, si appellò ai “colleghi (non “camerati”) rotariani”, invitando: “Nessuna parola, nessun commento” sulla relazione del sen. Pozzi, di cui fece dare lettura. Messa ai voti, essa fu approvata all’unanimità. Boglione assicurò i presenti che sarebbero state “consolidate anche per l’avvenire alcune fra le nostre più interessanti iniziative, quali l’assegnazione della borsa di studio Principe di Piemonte, l’assegnazione di borse di studio presso l’Università degli Stranieri di Perugia e la raccolta in volume delle più notevoli e interessanti comunicazioni fatte nei nostri Rotary sul tema dell’autarchia”. Auspicò anche una pubblicazione sui quindici anni di vita del sodalizio cuneese e assicurò la “conservazione dell’archivio sociale”. Non consta che i volumi abbiano veduto le stampe. Lo storico non può che rammaricarsene giacché l’insieme dei 648 bollettini settimanali del Club costituirebbero una fonte di primaria importanza per la storia non solo della Branda sibbene della società italiana, dati gl’intrecci tra i rotariani locali e la vita politica ed economica del Paese.

Ottenuto il consenso al “fatto compiuto”, Boglione dichiarò che le riunioni erano “sospese”. Prima di sciogliersi, in vista di un’ultima seduta per le delibere sul bilancio e archivio, ritti sull’attenti i rotariani cuneesi inviarono il loro vivo ringraziamento al loro illustre Socio Onorario S.A.R.I. Umberto di Savoia Principe di Piemonte e incaricarono l’on. Gaetano Toselli di scrivergli una lettera di ringraziamento a nome dei soci.

La storia del Rotary di Cuneo degli anni difficili dimostra che, quanto meno nel “vecchio Piemonte” e nella Provincia Granda, “culla della dinastia sabauda”, il fascismo non divenne mai regime totalitario. Esso inquadrò molti ragazzi e giovani (più maschi che femmine) ma non impedì a molte famiglie di affidare i figli ai “Tommasini”, vale a dire al convitto dei gesuiti in Cuneo, ai seminari, che ospitavano centinaia di studenti e la cui storia rimane da scrivere, né di frequentare gli oratori parrocchiani anziché i “sabati fascisti”. Non solo. Neppure dopo il 1938 il fascismo giunse a impedire che molti maestri elementari e docenti delle medie e degl’istituti superiori, pagato il loro debito col giuramento di fedeltà a un pretenzioso “duce”, continuassero a educare alla libertà. Non tutti, ben inteso, ma in numero notevole. Bastino i nomi di Luigi Pareyson, Adolfo Ruata, Luigi Bàccolo, Giovanni Fassio, Leonardo Cocito, Giuseppe Petronio…e del preside del liceo di Cuneo, Sebastiano Gasco.

I rotariani cuneesi continuarono a prodigarsi per il bene pubblico nei ruoli via via ricoperti, sempre all’insegna della continuità dello Stato. Fra i molti, basti ricordare l’avvocato Michele Olivero podestà di Cuneo nel 1940 e Antonio Bassignano che dopo il 25 luglio 1943 s’accollò l’amministrazione civica lasciata vent’anni prima e la resse quasi un anno evitando che il capoluogo conoscesse la guerra civile degli mesi seguenti. Lo stesso vale per Giuseppe Boglione, che in Bra fu il referente del capitano Icilio Ronchi “della Rocca”, a capo di una lotta di liberazione d’impronta patriottica, di Teresio Cavallo, dell’on. Gaetano Toselli, Carlo Viglino, Cesare Vinay e di Amleto Bertoni che sull’inizio del 1945, affiancato dall’avvocato Paolo Lombardo, nel 1919-21 giovane deputato socialista, assunse coraggiosamente la responsabilità di una consulta comunale elettiva per salvaguardare la popolazione.

Negli anni tra la fondazione e l’autoscioglimento, nessun rotariano della Granda fu strumento di totalitarismo.

Se si esaminano le singole biografie e da queste si passa alla valutazione complessiva dei 72 membri che nel tempo fecero parte del Club di Cuneo la risposta è una sola: essi fecero in modo che , occasionali omaggi verbali a parte, il sodalizio rimanesse impenetrabile a ogni inquinamento totalitario, dal nazionalismo esasperato (che fu caratteristico della fase agonica de governo Mussolini) e da ogni forma di razzismo.

Tali precedenti aiutano a comprendere perché il Club di Cuneo sia stato fra i primi a riprendere i lavori, all’indomani dalla fine della guerra, per impedire l’avvento di qualsiasi altro regime.

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